Le ragioni del sito

C.i.P.* – Le ragioni del sito

Le motivazioni alla base di questa scelta

Ci siamo interrogati a lungo sulle ragioni che ci hanno spinto a creare un sito sulla sinistra antagonista a Ostuni. Facile pensare a una operazione ‘nostalgia’: un gruppetto di cinquantenni in piena crisi esistenziale, che vivono da anni tra immobilismo e ‘cercare di fare qualcosa…’ . Una specie di ‘album di famiglia’, in cui si riconosce ‘Peppino’ o ‘Maria’ col pugno chiuso durante uno dei tanti cortei, ritornando per un istante giovani e volitivi combattenti.
Forse qualcosa di vero c’è.
Forse la voglia di ‘combattere’ è sempre rimasta sopita ma viva.
Forse alcuni di noi vogliono rimediare ai ‘sensi colpa’ per essersene andati da Ostuni (all’università o per lavoro) e aver così contribuito al declino delle varie componenti del Movimento.
Forse potevamo evitarci di rivangare il passato e pensare, invece, a farci la tessera del PD ché, tanto, non comporta particolare impegno.
Forse…
In concreto, vorremmo creare, si un’area di meditazione-rielaborazione sulla sinistra antagonista dal ’68 in poi, ma soprattutto vorremmo che ostuniribelle.it, diventasse una ‘incubatrice’ del dissenso, ridando a quest’ultimo la voce che a Ostuni è rimasta per troppo tempo muta. In quest’ottica, il sito è rivolto a tutti. Insomma, stiamo cercando di colorare in rosso la troppo bianca pietra ostunese.
Nel sito abbiamo inserito, oltre ai movimenti e le organizzazioni, anche una bacheca (Tazebao), per notizie e comunicati.
Inviateci qualsiasi suggerimento ma, soprattutto, testimonianze quali eventuali video, foto, manifesti, volantini e quant’altro riguardi gli argomenti del sito. Il Che ce la mandi buona…P.s.: alcune pagine sono in allestimento. Vi chiediamo anche per esse, di collaborare inviando materiale e-mail.

*(C. i. P.: ciclostilato In proprio) molti di noi ricorderanno le lunghe ore, spesso notturne, dedicate alla stampa dei volantini. L’obbligo di legge prevedeva di riportare da chi fossero stati stampati e dove (di solito via e numero civico).

stelle rosse
Entropie dell’Esodo

Le ragioni di questo sito non sono relative alla banalità del recupero della memoria. A ben vedere la memoria non ammette recupero per la semplice ragione che questa esiste comunque come presente. Come l’albero rinvia alle radici, il presente esiste solo come prodotto del suo passato. Il passato non si recupera, il passato semplicemente è. Il passato semplicemente sarà. Da questo punto di vista tutto è eterno, tutto è sempre qui con noi, da sempre disponibile. Come DNA, come senso, come gesto, come azione, come tutto che eternamente si da e che eternamente costituisce, nel suo darsi, l’ingrediente del presente e del suo ex-sistere. Noi siamo sempre l’altro, ogni presente sa di passato ed ogni qui rinvia al suo fu. In ogni attimo alberga tutta la storia, così come in ogni segmento tutti gli infiniti punti. In ogni ora gira il senso del tempo, di tutto il tempo, e ogni nuova nascita recupera, in un certo qual modo, la morte del già stato. La storia ignora la struttura edipica del tempo e nessun parricidio è dato. L’attimo si inabissa nel senso del fu e riemerge rigenerato a nuova vita, conservando la sua origine. Solo in questa prospettiva possiamo dire che la storia siamo noi. La storia siamo noi perché in noi risplende il passato, tutto il passato. Ogni parola porta con se il mondo, tutti i mondi. Ogni parola che costruisce una narrazione dice il dicibile e, soprattutto, l’indicibile. Dice della stratificazione secolare di significati, racconta passioni, aspirazioni, conquiste, sconfitte, desideri. Ogni parola narrante trabocca dolore, gioia, sangue. Ogni parola ci presenta il conto della storia e a questa rinvia. Archetipa, simbolica, storica. Narrante e seducente. Parole, filmati, documenti e tutto quello che alla dimensione storica rinvia, così come qualsiasi frammento di contemporaneità, di tempo, di epoca, di cultura e di presente ci risucchia nell’abisso della storia. Ogni andar avanti e un richiamo del passato. Ogni pro-getto porta con se il suggello di ciò che fu, la sua benedetta maledizione. Siamo prigionieri della storia e a questa condannati. Ogni attimo è blindato e significato dal “senso” della storia. Inevasibilmente. Ora, se la memoria è già data nella sua incancellabilità, nella sua ontologica costruzione del presente, che senso ha ricordare? Che senso assume la memoria e la storia? In una parola: assume il senso del contrario. Il senso autentico della storia non va dal passato al futuro, bensì percorre la direzione opposta. La contemporaneità non scrive mai la storia, al massimo stabilisce con una cronologia. L’occupazione di una scuola , nel momento in cui ciò avvenne, non annuncia niente. Solo il fatto in se. Solo la distanza interpreta. Solo dopo un “certo” tempo quella scuola occupata si scrolla di dosso la banalità della fattualità cronachista per assurgere a evento storico: la prima occupazione del ’68, per esempio. In questa interpretazione, reinventiamo continuamente il passato e lo liberiamo dalla staticità del dato di fatto. Lo sblindiamo dall’insostenibile peso del “questo fu”. Ancora una volta la storia siamo noi perché produttori e donatori di senso. Il passato cambia, il passato non rimane. Il passato diviene nella nostra ermeneutica. Il passato diviene nel senso del suo farsi storia. E noi diveniamo altro da quello che siamo proprio nel momento in cui reinventiamo il passato in questo appassionante esercizio di libertà che scrive, riscrive e reinventa continuamente la storia. Questo sito ha questa presunzione. Ma non solo. Questo sito individua la Nostalgia come luogo privilegiato della storia e del fare storia. La nostalgia non è il desiderio struggente del “bel tempo” che fu. La nostalgia è il dolore del ritorno. La malattia dell’emigrante. Rispetto al passato, siamo radicalmente e inesorabilmente fuori-Casa, fuori-Patria, fuori-Luogo. Anche se abitiamo sempre una Casa, una Patria, un Luogo, un Senso. Sempre sospinti, da questo/i, fuori e sempre, in questo/i, ritornanti, nel momento in cui il passato si attualizza come presente. Siamo condannati al ritorno se vogliamo abitare il presente, per l’incontrovertibile ragione che l’oggi trova il suo senso e la sua grammatica nel dialogo con “lo ieri” e nel tra-dire quello che “lo ieri” è stato. E’ proprio il volgere lo sguardo al passato e l’intraprendere questo ritorno che apre all’esperienza del dolore. Dolore per il radicale e perenne essere, da sempre e per sempre, fuori-Luogo, perché fuori dal senso che fu;dolore, per la necessaria fatica del “ritorno” in quei luoghi dove ha senso l’interrogarsi;dolore, per la dissolvenza del senso che deve riformularsi alla luce di questo percorso e del suo interrogarsi;dolore, per l’inconsistenza semantica degli enti, degli eventi, delle storie, dei particolari così come del generale e del senso del tutto; dolore, per la perdita, nell’abisso della storia, del senso e per la sua palingenesi. Dolore per la vertigine di senso che ogni domanda, così come ogni ri-costruzione, comporta. Ancora una volta la storia siamo noi solo perché da questa trafitti nel determinarsi dei significati e del senso. La storia fa male ! Se il “ritorno” è dato dalla imprescindibile necessità dell’interrogare come fondamento del senso del presente, l’autenticità di questo interrogare non chiede la banalità del perché, ma chiede e determina il dolore del partorire un nuovo significato, di un nuovo senso che nella storia si affaccia. Da questo punto di vista il ricordo non recupera il passato, apre al futuro non il “come veramente fu”, ma “come il probabilmente sarà”. Di questo si tratta e questo è in discussione. Vogliamo “recuperare” il nostro passato di giovani rivoluzionari come codice interpretativo e formativo del presente e della sua trasformazione. La soggettività nell’epoca della globalizzazione pone il problema, per esempio, della sua nuova identità e della sua nuova cittadinanza. Ridefinire questa figura ha senso solo sul terreno di un’ermeneutica storico-propulsiva che coglie il nuovo antagonismo della Moltitudine sulla struttura di senso dell’antagonismo degli anni ’60-’70. Non per riproporre la stessa lettura e le stesse categorie di fine ‘900 ma per la radicale esigenza che un senso nuovo può affermarsi solo in un orizzonte di senso già dato; per la consapevolezza che un linguaggio può parlare la sua lingua e tradurre i suoi significati solo su di una trama di linguaggi già espressi e strutturati in una comunità che tentò, solo qualche decennio fa, “l’assalto al cielo”. Oggi che la politica è diventata qualcosa di separato dalla cittadinanza, fino all’assurdo e impossibile “dell’entrar in politica” che presuppone un improbabile “fuori” dalla politica, che definisce un luogo letteralmente indicibile per qualsiasi pensiero politico a noi conosciuto. Ebbene, contro questa degenerazione della politica vogliamo ribadire, recuperando un senso del “passato”, che non solo la politica è il fondamento della cittadinanza , come i Greci ci avevano già insegnato, ma che la politica dice la stessa cosa di partecipazione, come tutto un pensiero rivoluzionario, dai Soviet ai Consigli di Fabbrica, ci ha fatto capire. E,soprattutto,la politica non è lavoro, tecnicismo, separatezza programmatica, secondo l’aberrante concezione dei nuovi politici di professione. In questo senso, politica rinvia, oggi, a “beni comuni”, partecipazione, antagonismo, antiliberismo, anticapitalismo, ambientalismo, pacifismo, etc. Ma questa prospettiva, dalla sovrumana complessità, rinvia a organizzazione e a rilancio del movimento antagonista sul territorio. Proprio quello che Ostuniribelle vuole essere e vuole fare.

hasta siempre, Cosimino Pecere